mercoledì 14 dicembre 2011

E' grande più del toro e mangia per due.......è il bue !!



Addomesticare il bue secondo lo Zen significa essere padroni della propria mente……ma il bue a cui mi riferisco è quello vero, non quello addomesticato dallo yoghi, ma un possente e pacato animale che per millenni ha piegato la sua volontà per soddisfare le richieste del suo mandriano.
Il bue ha rappresentato nel nostro passato agricolo quello che ora rappresenta il trattore, prima dell’arrivo dei primi “Landini” era la forza motrice che permetteva il traino dei carri, l’aratura dei campi, la trebbiatura del grano, ecc..
Le testimonianze dell’uso del bue nei lavori agricoli sono antichissime vi sono documenti e ritrovamenti che testimoniano il suo utilizzo già attorno ai 4.000 anni a.c.
Io da bambino pensavo che toro e bue fossero la stessa cosa, ovvero il “marito” della mucca, poi sono cresciuto ed ho appreso che per essere bue, le cose erano un po’ più complesse …. e l’arruolamento a bue non era una scelta volontaria!
Per fare un bue si sceglieva un bovino nostrano (ovvero non il “fassone” termine attraverso il quale si identifica il vitello da coscia tipico per avere ossa “fini” e grande massa muscolare = più bistecche) all’età di 3 o 4 mesi l’animale veniva castrato (chissà perchè quando scrivo questa parola avverto sempre una strana fitta ..) o con le famose pinze Burdizzo (che prendono il nome dal loro inventore un veterinario langhigiano) o attraverso la legatura alla base dei testicoli; in entrambi i casi l’interruzione del flusso sanguigno portava alla necrotizzazione degli stessi. Il castrato (ahhiaa) ora era pronto per iniziare l’addestramento, veniva a poco a poco abituato a sopportare il peso del giogo sul collo, al quale venivano attaccati dei pesi attraverso funi di canapa o cinghie, che divenivano di volta in volta più pesanti per abituare l’animale alla fatica del duro lavoro nei campi. Il bue era davvero pronto ai lavori pesanti di aratura, erpicatura e traino dei robusti carri di legno, attorno ai 3-4 anni di età, quando oramai aveva raggiunto i 70-80 “miria” (miriagrammi). Ai buoi pur non venendo ingrassati, spettava una razione generosa di cibo, dovevano infatti essere in buona salute per sopportare le faticose ore di lavoro.
Al fine di proteggere dal consumo, le unghie dello zoccolo, nella presa sul terreno durante la fase di trazione, i buoi venivano ferrati, la ferratura si rinnovava in media due volte l’anno; a differenza dei cavalli il ferro non era unico ma consisteva in due distinte piastre metalliche che venivano fissate sotto gli unghielli attraverso chiodi che venivano ribattuti sulla parte esterna dello zoccolo per garantire la loro presa, la curvatura del ferro nella parte anteriore garantiva la protezione alla punta degli unghielli. Il contadino al fine di proteggere i buoi dal calore e dall’afa, ma anche dai tafani, “attaccava” i buoi a notte inoltrata e il lavoro cominciava attorno alle 4-5 del mattino per interrompersi quando il sole cominciava a farsi sentire. La tradizione piemontese identifica Venere quale “steila bouera” ovvero stella boera; i vecchi dicono che quando lei è visibile nel cielo, è ora per il bovaro di intraprendere il lavoro con i suoi animali!, Venere infatti nella bella stagione è visibile anche ad occhio nudo e compare attorno alle tre del mattino. Purtroppo il duro lavoro a cui erano sottoposti i buoi,minava la loro salute e spesso l'animale non durava più di due o tre stagioni, poi veniva ingrassato e destinato alle tavole, da qui ha origine il termine “bue grasso”. Proprio domani si terrà a Carrù (CN) la 101^ edizione della Sagra del bue grasso, dove i visitatori lo apprezzeranno in prevalenza cucinato, noi gli dedichiamo questo post in segno di gratitudine per l'immane lavoro svolto nei secoli a fianco dell'uomo, certi che l'agricoltura senza di lui non si sarebbe mai espansa tanto....augurandogli che un giorno gli uomini si limiteranno a ricordarlo e rendergli onore per quello che è stato, al posto di "crearlo" per allietare i palati.

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